Post-Bodies: Tra Immaginazione e Futuro

Dott.ssa Valeria S. Lombardi

Come sarà il domani? Si può forse iniziare a scorgere e ad intuire con fiducia il futuro avvicinandosi alla ricerca sentita e corale e alla resa artistica della giovane artista Eva Rorandelli. L’arte pittorica di quest’artista non è né un’ostentazione delle sue capacità tecnico-artistiche né il tentativo fine a se stesso di enunciare queste ultime. Da sottolineare che non vi è neppure traccia delle solite, infinite varianti accademiche nella profusione dei materiali. Rorandelli usa sì certi materiali, anche assai differenti tra loro, ma è da anni che insegue questi come un progetto. Un progetto che germina nei suoi pensieri, nei suoi sogni ad occhi aperti, ovvero nel saper guardare la vita ed il nostro quotidiano da un punto di vista diverso, puntando anche verso uno sguardo coevo con la scienza dell’anatomia ingegneristica ovvero dei cyborgs.

Ma è bene sottolineare che forse è la prima volta che un’artista italiana così giovane sia così determinata a voler immettersi totalmente in questi binari assai tecnologici e futuribili e a voler pertanto percorrere proprio questa strada. Ci troviamo davvero davanti a qualcosa di nuovo e di unico, a volte da interpretarsi, ma certamente ci troviamo di fronte ad opere che incanteranno, inebrieranno il fruitore per quell’insieme di più cose rappresentate e poi così brillantemente ricompattate tra loro. Un insieme di segni che vogliono propriamente enunciare la presenza delle cose, degli oggetti tecnologici; ecco difatti che, come si noterà, tutte le sue figure di donne presenti in questa mostra personale dal titolo “Post-Bodies” presso la Fondazione D’Ars Oscar Signorini di Milano sono come quasi attorcigliate, rette da sciami brulicanti di particelle, bolle, ventole meccaniche, oggetti dalla parvenza metallica. Ma è bene rammentare che non vi sono mai inseriti veri oggetti metallici. Rorandelli è come se ci desse con essi una sorta di illusione ottica ed una presenza dell’imminente compiersi di questo stato di cose. In fondo è come se ci stesse unicamente preparando a questa diretta invasione.

C’è anche da sottolineare che Rorandelli ha sempre posto l’accento nelle sue opere sulle contraddizioni odierne-contemporanee: come ad esempio su quella ricerca-cardine della bellezza portata fino all’estremo che sembra quasi essersi posta più come un limite che come una virtù. Ecco ancora puntuale il taglio dato e poi espresso in pittura attraverso le sue donne: donne scarne, magre, altamente sinuose che si perdono con facilità nel restante della tela, data la loro scioltezza. Questo aspetto lo si può ancora vedere nei lavori intitolati “Chaotic Presences” e “Plugged In.” Ma come si vede bene Rorandelli non si prefigge di indicare un modo od un altro né di mettere dei limiti o di lanciare degli anatemi; l’artista infatti registra soltanto tutto ciò che vede, elabora anche tutto quello che anche indirettamente le viene come “conficcato” in mente dai giornali, dalla televisione, ecc. Solo che invece di esserne anch’essa schiava, enuncia e sottolinea quel lento, intenso e ragionato cadenzarsi delle tecnologie in ogni dove del nostro vivere, del nostro scegliere e desiderare quotidiano.

La mostra “Post-Bodies” espone e regala, attraverso gli splendidi lavori dell’artista, la rappresentazione di questo epocale mutamento verso un Mondo dove si potrà programmare e modificare proprio tutto: dove le macchine, la robotica, le tecnologie faranno forse letteralmente da padroni anche su noi piccoli insicuri e fragili esseri umani (che duriamo persino meno delle cose da noi fatte e progettate!). Ciò non è volto e non deve essere visto come mirato a spaventare lo spettatore: del resto poi il moto eterno del ciclo della vita va avanti anche senza di noi, perciò al futuro dobbiamo unicamente prepararci e poi in fondo regnerà pur sempre il libero arbitrio. I lavori presentati da Rorandelli presso questa mostra personale appunto dal titolo “Post-Bodies” sono realmente unici, imperdibili anche per il fatto stesso di come sono stati rappresentati dall’artista.

Certo quale resa finale vi sia, la si ammira intuendo lo sforzo dell’artista a sostituire qualcosa di decisamente nuovo, molto tecnologico; tuttavia, nelle medesime opere si respira, si percepisce ed è forse un segno di pregio di questa artista, una sorta di legame con il passato pittorico. Con questo non si vuole dire che Rorandelli non è stata totalmente capace di esprimersi futuristicamente parlando, anzi è riuscita a farci notare il “passaggio,” il “ponte” tra la nostra realtà odierna ed il futuro non solo quello tecnologico che stiamo vivendo, ma anche un insieme, un assaggio di quello che diverrà. Rorandelli è come se avesse ricostruito un polittico costituito appunto da più elementi dipinti.

Le opere pittoriche sono realizzate a tecnica mista ed appaiono a primo acchito non solo come detto, ancorate ad un certo tipo di passato artistico, ma sapientemente elaborate, creando e rilasciando una profusa ed estesa armonia tra le parti. Si guardi ad esempio l’opera “Uploading...” o “Functional Error” in cui una approfondita serie di immagini viene poi come inserita nella tela, in una sorta di bombardamento spaziale ancor prima che ottico, ma con richiami anche agli splendidi dipinti di Gustav Klimt. Suggestivi poi sono quegli intarsi cromatici che sembrano costituirsi sotto i nostri occhi come ad esempio quei profusi cerchi bordeaux-noirs che quasi richiamano il grande maestro svizzero Paul Klee nel dipinto “Alcuni cerchi” del 1926. C’è anche da rammentare che questa artista ha studiato restauro quindi sa bene come plasmare, curare le opere e creare splendide scenografie finali. Sorprende poi a dire non poco che i lavori qui presentati siano altamente raffinati, studiati, ragionati per determinare proprio quella sorta di stupore ed atemporalità. Opere queste che possiedono anche tenacemente l’insistenza a mostrarsi, a farsi parte del dipinto, senza voler primeggiare, ma come solo a ricordare che anch’esse ci sono. Sì, ci sono anche queste donne, ognuna chiusa, racchiusa quasi da un siparietto, da una scenografia che richiama sia a sensualità postulate come si è già detto da un Gustav Klimt, sia per quella profusione di bolle e sfere a Paul Klee. Sfere che volutamente luccicano, incantano, stupiscono e ci rapportano il tecnologico come un bene primario da avere immediatamente; nonostante queste impetuosità materialistiche, Rorandelli riesce ugualmente a darci opere che sembrano ogni volta rinascere come in delle “Primavere” del Botticelli e persino quasi degli strazzi ed elementi orientali modello “Madame Butterfly” (si veda di nuovo attentamente l’opera “Chaotic Presences”) ma così cari anche ad opere giapponesi del primo periodo Edo. Una sorta di manifesto per questa mostra potrebbe essere enunciato dal lavoro “My Personality is My Own,” non un monito a seguirla o a doverla copiare, ma piuttosto una presa di coscienza del suo modo pittorico artistico e del nostro avvenire imminente.

Un’opera che più di altre poi, che suggerisce di avere davanti una grande artista, è l’opera intitolata “0911,” un sincero omaggio (poche settimane dopo l’ottavo anniversario di questo triste evento) a quella che di fatto è stata l’immane tragedia del 2001, quando all’attacco e al crollo delle Twin Towers sono seguite le decisioni dei grandi politici, lo smarrimento della gente, e la paura dell’inizio del III Conflitto Mondiale. Quello è stato un momento di impotenza sulle sorti dell’Uomo; basti rammentare un pensiero antecedente di Albert Einstein: “so come si farà la III guerra mondiale, ma per la IV? Ci saranno forse solo alberi.”

Rorandelli è riuscita a creare qualcosa di intimamente personale usando una tecnica pittorica di tipo astratto che però, proprio per la costituzione dei dettagli, sembra anche così tenacemente richiamare certe parti pittoriche del dipinto di Egon Schiele “Autoritratto con dita aperte” (1911). La rarità di quest’opera è anche data dal fatto che è dipinta non solo con una tecnica mista, ma che qui propriamente l’artista ha voluto inserire materiali tessili, frammenti, quasi a decretarne una sorta di simulacro, un’opera che può anche spingersi verso una direzione di proto-scultura. Questa direzione scultorea si ritrova anche del resto nell’altro splendido, costruttivo lavoro intitolato “2020.”

Un ennesimo ed interessante aspetto dell’azione pittorica e personale di Rorandelli è quello di manifestare e sottolineare la presenza umana femminile. Non tanto per rendere più piacevoli i lavori pittorici, ma proprio per enunciare quasi a squarciagola che la donna, il genere femminile, è di fatto un genere che spesso viene troppo denigrato, accantonato, quasi che tutto si dovesse generare solo nell’ambito di una stretta unilateralità maschile. Se da millenni la Donna come genere è stata in primis colei che dà la vita, non si capisce poi perché ci debba essere sempre un profondo scarto tra generi sulla Terra, una sorta di sopruso ingiustificato del dispotismo maschile, quando invece da sempre si sa che le donne sono capaci di fare tutto quello che fanno, persino meglio degli uomini e che in più hanno il dono ed il potere di donare la Vita. Forse anche in questa ottica, di questo eterno, non ancora assopito e sempre travagliato dibattito, la presa sempre più costante delle tecnologie e poi dei veri cyborg così neutrali, così efficienti riuscirà a porre fine a questa silente competizione, per lo più da sempre compiuta dall’Uomo verso la Donna.

Come si noterà in questa sua mostra personale, Rorandelli sembra regalarci in una manciata di tele, un qualcosa che così “en passant” si può andare facilmente a vedere; in realtà l’artista è ben conscia del potere artistico raggiunto e ce lo mostra senza esitazioni, sicura di donare qualcosa che c’è già nell’aria, qualcosa che vive in noi già da tempo, ma di cui noi spesso non vogliamo renderci conto, nascosti dietro ad offuscate lenti: la consapevolezza di questi settori tecnologici che hanno già varcato le nostre porte di casa, le nostre scelte ed i nostri desideri. Forse questa mostra sarà l’ultimo tassello di questo modo di rappresentare le cose, ma credo fortemente che in un domani non tanto prossimo, l’artista si esplicherà anche attraverso Istallazioni: rappresentando a pieno, quasi con crudezza anche attraverso l’ausilio di veri colorati fili, telecamere, video web, il tempo futuristico. Qui invece, come si è detto in precedenza, Rorandelli mostra ancora attraverso il medium pittorico artistico quello che è ed ormai dovrebbe essere sulla bocca di tutti: ovvero l’apporto delle tecnologie nel nostro mondo occidentale quotidiano.

Per comprendere appieno questa artista consiglio di guardare attentamente i suoi video, e in particolare il video dal titolo “Hiding,” che non ha nulla a che invidiare a quelli visti al cinema. Vi è una tale conoscenza dei mezzi impiegati, con un abbinamento di giusti suoni immessi in sottofondo da rimanere quasi a bocca aperta per la successione delle immagini così vicine alla trasformazione in un ibrido, un insetto-umano.

Bisogna per ultimo ricordare che Rorandelli ha già fatto svariate mostre personali soprattutto negli Stati Uniti, ma certamente bisogna anche riconoscere che questa mostra presso la Fondazione D’Ars Oscar Signorini è assai ricolma di assonanze alla ricerca artistica perpetuata da questa artista, sia per via del Premio Signorini insignito ad artisti che elaborano ricerche nel campo delle tecnologie, sia perché la Fondazione si è avvalsa anche di un importante critico quale Pierre Restagny (1931-2004), una persona che credeva fortemente nelle intuizioni dei giovani, basti pensare al suo incontro con Yves Klein. La Fondazione D’Ars Oscar Signorini si trova da una parte coeva con la famosissima Università Cattolica del Sacro Cuore, riuscendo però la Fondazione a far del suo spazio eco, riflesso e alternativa al caotico dispiegarsi di una metropoli come Milano.

Certamente questo fatto di cose offre un dono unico agli artisti che espongono le loro opere ed in questo caso Eva Rorandelli: le sue opere vivono e sembrano compenetrarsi con il visitatore, quindi l’accento in questo caso sull’aspetto tecnologico verrà come triplicato, bombardato, il visitatore si sentirà quasi sotto tiro, osservato, quasi piacevolmente stordito, incapsulato ed uscendo dalla mostra gli sembrerà persino di essersi spogliato, vedendo come al di fuori della mostra il mondo circostante sembri “ancora” privo di questa manifesta tecnologia.