Post-Bodies

di Giordano Bernacchini

Corriere dell’Arte
13 Novembre, 2009

Quanta rabbia c’è nelle donne di Eva Rorandelli? Tanta. Non è una rabbia sguaiata ed urlata nelle piazze. È una protesta toccante perché soffocata tra le labbra, chiuse o semichiuse, delle sue protagoniste, il cui silenzio è più esplicito di qualsiasi parola.

Seri e comunicativi nel tentativo di non esprimere alcuna emozione, i soggetti femminili, ritratti dall’artista fiorentina, sono immersi in un ambiente futuristico: un mosaico-collage ottenuto con immagini di reliquie tecnologiche, cavi e resti di oggetti elettronici.

Un mondo di prodotti che avvicina l’esistenza femminile a quella di un oggetto, soprammobile vivente appoggiato sulle macerie di una tecnologia usata e sfruttata. Nelle opere di Eva Rorandelli diventa persino difficile individuare il confine tra il corpo umano e lo sfondo artificiale. Interiora di cadaveri robotici si insediano nei corpi femminili.

Le ragazze dei quadri segnano gradi di resistenza ad un sistema che vede la donna come un involucro erotico. Adagiata su una discarica tecnologica, la modella di “Uploading…” è l’unica a non aver la bocca sigillata, come se potesse permettersi di non temere più la fuoriuscita vocale di una protesta. È anche l’unica ad aver la gamba divorata dallo sfondo. Oppone un filo di resistenza la ragazza imbronciata di “My personality is my own”; ma la sua parola è murata dalle labbra.

“Post-Bodies”, mostra ospitata dallo Studio D’Ars dal 27 ottobre al 9 novembre, è un invito a mantenere salda la distinzione tra il corpo e gli oggetti, a combattere l’ennesima battaglia a colpi di parole; parole che, solitamente insabbiate nella fisicità della donna, devono essere attivate per far si che la bellezza femminile continui ad appartenere alla dimensione umana.